Sull’articolo Torre Spaccatissima e sul bel dibattito che sta nascendo intorno al Pratone

Introduciamo la nostra riflessione sull’articolo pubblicato in data 13/04/2022 riportando le parole di Adriano La Regina, archeologo, accademico italiano, presidente dell’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte e Soprintendente archeologo di Roma dal 1976 al 2004, rilasciate a Paese Sera il 7/1/93:

«Il suburbio ingloba i resti di quelle città latine che furono sottomesse nella prima espansione romana, i cui nomi sono noti dagli autori antichi che hanno descritto storie e leggende della prima Roma. Il suburbio comprende Gabii, città legata alla storia delle origini di Roma, comprende Ostia, vie consolari ancora in funzione, acquedotti, residenze dinastiche, mausolei di imperatori, ville di ozio e di produzione, santuari pagani e basiliche paleocristiane e soprattutto un tessuto fittissimo di resti e luoghi di interesse archeologico di cui non è ancora identificato il significato». Il soprintendente propone giustamente di tutelare questo patrimonio mediante una scelta urbanistica generale piuttosto che apponendo solo vincoli puntuali e quindi chiede uno strumento amministrativo che comporti «l’obbligo di concepire ogni ulteriore trasformazione in maniera coerente con i caratteri storici della città, diversamente da quanto avviene con gli strumenti disponibili che consentono di salvaguardare solamente singole entità monumentali formalmente riconosciute di importante interesse. Un tale obiettivo verrebbe considerato ragionevole da qualunque persona colta del mondo, la quale potrebbe piuttosto stupirsi del fatto che a ciò non si sia già provveduto».

Partiamo scomodando una personalità autorevole, come quella di Adriano La Regina, perché volente o nolente l’articolo odierno di Repubblica, “Torre Spaccatissima”, attraverso le parole dei cittadini e degli addetti ai lavori propone nuovamente una dicotomia tra sviluppo industriale e rispetto dell’ambiente che vive nella testa solo di chi strumentalizza le nostre posizioni per regalarci nel ruolo di “oppositori a tutti i costi”.

Di nuovo: non chiediamo la tutela del Pratone nella sua interezza solo nei confronti del progetto di Cinecittà Spa, ma nei confronti di qualsiasi tentativo di urbanizzazione che utilizzando come scusa un PRG vecchio quasi venti anni, voglia giustificare cubature su una delle poche aree superstiti dell’antico agro romano.
Serve poi chiamarlo suburbio, per far capire che quello che all’apparenza è solo un Pratone come noi stessi ingiustamente lo chiamiamo, è in realtà uno scrigno di tesori archeologici che merita di essere protagonista di un progetto di sviluppo, non comparsa di un film che ha altri attori protagonisti?

Quindi non serve mettere i virgolettati di chi spende parole d’amore per la difesa di un’area verde vicino a quelli di chi si è dedicato anima e corpo nella difesa di Cinecittà, un bene nazionale, e dei suoi lavoratori: Lucilla, disposta ad affrontare le ruspe, Elio che vuole che Cinecittà ritorni ai fulgori di Felliniana memoria e Antonio che l’ha occupata per difenderla dall’ennesimo tentativo di speculazione pubblico/privata, Massimo Corridori che da sindacalista richiama giustamente le dinamiche occupazionali, fanno parte dello stesso discorso.
Un discorso in cui si chiede alla politica di partecipare le decisioni che tanto incidono sulla vita delle persone (il diritto al lavoro, il diritto alla tutela del patrimonio ambientale), non di calarle dall’alto fingendo di condividerle con i cittadini solo nel momento in cui tutto ormai è deciso.
Perché dire che il progetto di Cinecittà verrà partecipato dai cittadini vuol dire esattamente questo: far finta di ascoltarli e calpestare le loro legittime rivendicazioni, calpestare le 2700 firme raccolte.

Entrando nel merito delle parole dell’architetto e urbanista Daniel Modigliani, che ringraziamo per aver arricchito questo dibattitto con l’autorevolezza che può avere solo uno dei padri dell’ultimo PRG di Roma, riteniamo doverose fare quantomeno delle osservazioni, con l’umiltà che la nostra posizione di semplici cittadini ci impone.

Prima fra tutte, fa piacere che venga ricordato un passaggio vecchio ormai quanto il PRG, in cui la famiglia Cabassi, proprietaria con la società Brioschi Finanziaria del 50% della società Quadrante Spa che deteneva i diritti di proprietà dell’area del Pratone (partecipata per l’altro 50% da Fintecna Spa, partecipata invece al 100% dal MEF) realizzò una plusvalenza di quasi 17.000.000,00 di euro, grazie all’esercizio del diritto d’opzione da parte proprio di Fintecna Spa, ente pubblico. E fa piacere che venga ricordato come questo sia accaduto in concomitanza di un atto amministrativo, la dec. G.C. n.259 del 5 dicembre 2005, in cui venivano recepite le controdeduzioni al PRG che su Torre Spaccata, invece di accogliere le proposte di un progetto partecipato dai cittadini e depositato con più di 5000 firme, triplicava le cubature portandole a 1.100.000,00. Ma d’altronde, di queste dinamiche se ne parlava chiaramente già negli anni ’90: citiamo qui un passaggio di Walter Tocci, eminente urbanista, vicesindaco di Roma durante la Giunta Rutelli, che in uno di quei momenti di studio e ricerca che un tempo precedevano la definizione delle strategie politiche dei partiti, di cui oggi sentiamo una viscerale mancanza, riportava nel suo libro “Roma: che ne facciamo”. L’autore in questa parte del libro crea una similitudine tra i Kombinat, gruppi di imprese che nelle economie pianificate dell’Est operavano nei vari settori economici, eseguendo la volontà del Partito e operando sopra le regole di mercato, e la realtà di Roma dagli anni ’80 in poi: “C’è però un altro tipo di Kombinat, molto più sofisticato, che non si limita ad oscurare la stazione appaltante, ma elabora ed attua progetti organici sostituendosi completamente alle sedi istituzionali. L’esempio più significativo è quello dell’Italstat. Questa azienda pubblica, oggi divenuta Iritecna, è stata travolta da Tangentopoli ed è ridotta quasi ad un relitto, ma nella seconda metà degli anni ’80 aveva assunto un dominio incontrastato della trasformazione urbana: aveva acquistato le aree nei punti strategici e gestiva tutti gli appalti dell’amministrazione statale, il suo presidente, il fanfaniano Ettore Bernabei, uscito con l’amnistia dallo scandalo dei fondi neri dell’Iri, veniva chiamato l’ottavo re di Roma. Tale preminenza scaturiva dal fatto che tutte le commesse statali venivano affidate, in molti casi addirittura per legge, all’Italstat che poi, senza gare d’appalto, distribuiva i lavori ai costruttori, secondo una precisa lottizzazione politica; una quota fissa era assicurata anche al movimento cooperativo e anzi i suoi dirigenti la consideravano il riconoscimento di un ruolo politico. Ma non si trattava solo di appalti: la finanziaria pubblica era diventata una sorta di cabina di regia finalizzata a gestire complesse ristrutturazioni urbanistiche; non a caso la sua azienda di punta si chiamava «Sistemi Urbani»»; era insomma la sede in cui si pattuivano gli accordi economici e politici che dovevano presiedere a determinate operazioni, le quali venivano poi, appena raggiunta l’intesa, trasferite al Comune perché ponesse il sigillo deliberativo. In questo modo si sottraeva al controllo democratico tutta la complessa fase di elaborazione della decisione e il risultato finale veniva sempre presentato come una sorta di regalo offerto all’amministrazione pubblica al punto che rifiutarlo sarebbe stato davvero un delitto. C’è una vicenda esemplare che mette in luce il meccanismo, il progetto del tunnel sotto l’Appia antica. Esso fu una sorta di grido di battaglia dei poteri forti che cominciarono la fase più aggressiva dopo aver preso lentamente le posizioni in campo, durante la fase Signorello. La giunta del sindaco «Pennacchione» era entrata in crisi nel maggio dell’88; mentre erano in corso le trattative per la riedizione della maggioranza pentapartito ci fu una strana conferenza stampa in cui il sottosegretario Giulio Santarelli e Pietro Giubilo, assessore a lavori pubblici della giunta dimissionaria, presentarono il progetto che l’Italstat, tramite la società Bonifica, aveva elaborato di sua spontanea volontà, per il costo di circa un miliardo, senza ricevere alcun incarico dalle istituzioni competenti; la cosa curiosa era che il tunnel, all’uscita dell’Appia, faceva un’ampia curva per dirigersi esattamente verso i terreni di Torre Spaccata, destinati al progetto Sdo, che l’Italstat aveva acquistato l’anno precedente con lungimiranza. Si tentava così di mettere le mani sul progetto più importante, si prendeva a pretesto l’operazione Mondiali per fare un tunnel che non riguardava l’evento sportivo, trovandosi dall’altra parte della città, a trenta chilometri di distanza dallo stadio Olimpico”.

Questa riflessione ci permette di collegarci a quel punto dell’intervista in cui lei, architetto Modigliani, sottolinea che i soggetti sono tutti pubblici: in quel famoso Libro dei Sogni di cui tanti spesso ci attribuiscono la paternità, questa caratteristica dell’operazione sarebbe senz’altro una nota positiva. Alla luce della storia della Capitale, ricostruita magistralmente da Walter Tocci nel passaggio sopracitato, sembra invece debba servire da monito e richiamare l’attenzione di tutti, in primis della politica.

E ancora, architetto Modigliani, lei giustamente ribadisce come aldilà di tutto, ad oggi abbiamo di fronte un PRG che prevede 600.000,00 mc per la centralità di Torre Spaccata, quando nel 1965 ne erano previsti molti di più nell’ambito del progetto dell’Asse Attrezzato: sarebbe giusto però anche ricordare che il PRG approvato tra la notte del 20 e del 21 marzo nel 2003 con delibera comunale n.33 prevedeva inizialmente 400.000 mc e che si giunse ai 600.000 attuali dopo che, la dec. G.C. n.259 del 5 dicembre 2005 ribaltò il tavolo portando le cubature a 1.100.000,00, rendendo i 600.000,00 mc previsti dalla delibera n.64 del 22 marzo del 2006, con la quale si emendavano le controdeduzioni approvata il 5/12/2005, un “ragionevole compromesso”.

Che comunque era costato un aumento del 50% delle previsioni edificatorie, aggiungiamo noi.

Quando afferma che i resti ritrovati a Torre Spaccata riducono di poco l’edificabilità, noi Le rispondiamo facendole presente che quei resti che così descritti sembrerebbero poco rilevanti, erano già presenti nella Carta Storica Archeologica Monumentale e Paesistica del Suburbio e dell’Agro Romano come Italia Nostra denunciava nuovamente in una lettera pubblica rivolta agli amministratori di Roma Capitale, che di seguito riportiamo:
All’interno di detto sub comprensorio è presente un patrimonio di beni culturali di notevole importanza, in parte già registrato nella Carta dell’Agro al Foglio 25 Nord, in parte emerso nel corso dei sondaggi archeologici preventivi effettuati nel periodo dal 2000 al 2005 da parte della Soprintendenza Capitolina con i fondi messi a disposizione della Legge per Roma Capitale 396/1990.

Di seguito vengono elencati i beni in questione, indicando la loro classificazione all’interno del testo “Torre Spaccata. Roma S.D.O. Le indagini archeologiche” edito da Rubbettino. Fra le parentesi viene inoltre indicata la numerazione dei singoli beni nella Carta dell’Agro, Foglio 25 Nord”.

  • 71, fossato
  • 220, villa romana di Via Lizzani (80 nella CdA, Foglio 25)
  • 221, villa romana di Via Sommariva (96 nella CdA, Foglio 25 N)
  • 218, villa romana (109 nella CdA, Foglio 25 N)
  • 225, struttura ipogeica (104 nella CdA, Foglio 25 N)
  • 226, villa romana
  • 243, rinvenimento preistorico di superficie, neolitico (104 nella CdA, Foglio 25 N)
  • 227, fossati
  • 228, struttura a secco
  • 229, struttura protostorica (111 nella CdA, Foglio 25 N)
  • 230, struttura a secco di età medievale
  • 231, sito preistorico neo-eneolitico
  • 239, rinvenimento preistorico di superficie, età del ferro (124 e 132 nella CdA, Foglio 25 N)
  • 219, villa del casale di Torre Spaccata (122 nella CdA, Foglio 25 N)
  • 331, impianto di coltivazione a trincea
  • 332, impianto di coltivazione a trincea
  • 335, reperto ceramico
  • 337, struttura muraria connessa alla Villa di Via Sommariva
  • 338, impianto di coltivazione a trincea
  • 345, impianto di coltivazione a trincea
  • 346, pozzo
  • 354, struttura all’interno del fossato 71
  • 356, tomba a fossa
  • 358, cunicolo
  • 360, necropoli della villa romana 226
  • 361, cunicolo
  • 362, pozzetto
  • 363, Impianto di coltivazione a trincea
  • 364, cisterna
  • 366, tomba a inumazione
  • 367, struttura a secco

 

Carta dell’Agro Romano le cui rilevazioni, pur non essendo prescrittive, rappresentarono ancor prima delle rilevazioni degli scavi archeologici di cui Lei parla, condotte della Sovrintendenza Capitolina, una più che degna giustificazione al discorso vincolistico che Adriano La Regina propose con successo sul Parco di Centocelle. Vincoli generali, non puntuali, che varrebbero la salvaguardia completa dell’area, archeologica e naturalistica. Vincoli richiesti a gran voce da tante associazioni, tra le quali la nostra, bloccati in un processo che coinvolge Sovrintendenza e Soprintendenza: vincoli mai apposti, che ci hanno costretto a forzare la mano e a chiedere direttamente una variante di PRG quando la minaccia delle cubature tornava ad essere sempre più concreta.

Per concludere, con la consapevolezza che probabilmente su questo punto ci ripeteremo, vogliamo entrare nel dettaglio di questa Sua osservazione che citiamo testualmente: “realizzare la centralità sarebbe un successo straordinario ma questo è possibile”.

Per chi sarebbe un successo straordinario? Per chi aveva programmato questa Centralità Urbana nel 2003? Per chi si è visto prima coinvolto e poi scippato di un bellissimo progetto partecipativo? O per chi invece prova a ribadire che in questi quasi 20 anni in questo quadrante si è continuato a costruire ed abbondare, e che sarebbe più opportuno rigenerare ciò che oggi è in disuso piuttosto che cementificare l’ennesima porzione di agro romano riducendo le riserve di ossigeno dei cittadini?

In fondo, era chiaro anche prima che il PRG venisse deliberato: lo Sdo doveva servire a liberare il centro storico dal terziario e rilanciarlo culturalmente, portare qualità urbana nei quartieri periferici. Ma richiedeva la realizzazione di due prerequisiti: realizzare una potente rete su ferro ed espropriare le aree per evitare il condizionamento della rendita fondiaria nell’operazione di recupero. Se ne è parlato, ma non è stato mai fatto. Realizzare lo Sdo, la centralità urbana o qualsiasi cubatura su questa aree senza il rispetto di queste condizioni produrrebbe, citando sempre Walter Tocci nel suo libro del 1995: “ da occasione di riqualificazione, un nuovo sconquasso del sistema urbano: se nei terreni dello Sdo si realizzassero nuove attività terziarie senza alleggerire il centro storico, il risultato finale sarebbe di ulteriore concentrazione urbanistica. Se queste dovessero essere le intenzioni, tanto sarebbe meglio per la città archiviare il progetto Sdo e utilizzare quei terreni per fare un grande Parco dell’Est: almeno così si salderebbe il credito storico di verde pubblico (650 ettari) che gli abitanti di quei quartieri hanno accumulato 40 anni”.