Un commento sull’articolo apparso oggi sul quotidiano La Repubblica, che ringraziamo per aver dato questo grande spazio alla questione Daniele Autieri e Marina de Ghantuz Cubbe.
Non ci ripeteremo nell’evidenziare aspetti descritti nella parte introduttiva dell’articolo che da soli giustificherebbero una salvaguardia dell’area. Vorremmo comunque chiarire che non si può ancora oggi, nel 2022, creare una dicotomia tra tutela dell’ambiente e sviluppo economico. E questa dicotomia non la creano di certo i comitati che si spendono per difendere dal cemento quel poco di agro romano che si è salvato dagli appetiti dei costruttori romani (e non) e dalla poco lungimirante pianificazione urbanistica del Comune, ma la costruisce intenzionalmente chi continua a sostenere che il voler destinare un’area come quella del Pratone a Parco Archeologico e Naturalistico è un’idea antitetica a quella di sviluppo, che sembrerebbe poter garantire in questo caso solo Cinecittà con i suoi teatri di posa.
Un Parco Archeologico e Naturalistico, il secondo per estensione a Roma, potrebbe essere benissimo un centro di valore economico e potrebbe diventarlo senza colare nuovo cemento, tanto o poco che sia: non crediamo serva citare gli altri precedenti.
E consideriamo anche il progetto: se pure dovesse riguardare solo l’edificazione di alcuni teatri di posa e la creazione di uno spazio per le riprese all’aperto, il nostro territorio abbonda di soluzioni alternative, già compromesse da edificati oggi abbandonati. Molte di esse sono nelle disponibilità del Pubblico, che potrebbe cederle per supportare efficacemente i piani di espansione degli Studios.
Vorremmo entrare nel dettaglio delle parole dell’assessore Veloccia, che di nuovo ringraziamo per averci ricevuto la scorsa settimana e che pubblicamente ha esposto quanto già ci aveva anticipato. E lo vorremmo fare partendo dal punto in cui sostiene che vorrebbe che il Piano per Torre Spaccata cogliesse lo spirito che anima la comunità territoriale, cioè fare in modo che tutto il quadrante venga valorizzato.
Bene, crediamo si riferisca a chi in questo momento si pone nella legittima posizione di attendere che Cinecittà Spa presenti il suo piano. In particolare, a livello cittadino questa posizione è stata espressa dalla Comunità Territoriale del VII Municipio, un grande esempio di cittadinanza attiva che riunisce al suo interno i CdQ dei quartieri del VII e molti comitati e associazioni di scopo. Questa posizione è coerente con quanto fatto in passato dalla Comunità (dell’allora X Municipio) che fu protagonista di un bellissimo progetto (siamo nel 2004) partecipato di sviluppo dell’area, con il Dipartimento Urbanistica e Architettura dell’Università degli studi di Roma Sapienza: un progetto che prevedeva di arricchire il quadrante con funzioni di pubblica utilità sull’area del Pratone, che al tempo urbanisticamente prevedeva 400.000 mc. Un progetto depositato in fase di controdeduzione forte di più di 5000 firme, che non è stato mai veramente preso in considerazione dall’Amministrazione del Comune di Roma, che anzi pochi anni dopo, tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006, con una decisione di Giunta portò le cubature a 1.100.000,00 mc, salvo poi rivedersi e attestarle nel 2006 all’attuale previsione edificatoria, ovvero 600.000mc, comunque il 50% in più di quella prevista dal PRG del 2003. È tutto agli atti.
E non dimentichiamoci l’aspetto temporale: era il 2004, nel corso degli anni lo sviluppo della città è andato avanti, altre aree verdi sono scomparse e non attualizzare quel programma per quanto buono alla situazione odierna rende la sua valutazione strumentale.
Non crediamo in ogni caso che questa posizione possa essere considerata espressione dell’effettiva volontà del territorio, come non abbiamo la presunzione di credere che la nostra lo sia.
Noi però l’abbiamo formalizzata con uno strumento di iniziativa popolare: una petizione petizione ufficiale – che lo Statuto di Roma Capitale rende possibile imponendo al Sindaco di rispondere ai cittadini – che ad oggi ha raccolto più di 2600 firme, tante considerato che per firmarla occorre districarsi tra un processo poco intuitivo di identificazione digitale (si firma solo con SPID, qualora non lo aveste già fatto ne approfittiamo per ricordarvelo: https://www.comune.roma.it/web/it/iniziativa-popolare.page?contentId=IPR893815&fbclid=IwAR26WmVr_l2ub-_5VgIZzceol-AiD-WPSyycYJ-A3slKseJlEiHfI1M76cc).
Dopo aver cavalcato l’onda di questa presunta divisione territoriale, che noi crediamo bene essere solo nei metodi e non nei contenuti (chi d’altronde potrebbe opporsi all’idea di realizzazione di un Parco Archeologico e Naturalistico come quello delle Ville Romane, unione dell’area con quella del Parco di Villa Flaviana e del Parco Archeologico di Centocelle?), l’assessore Veloccia afferma che “esiste da un lato chi chiede una variante del PRG con esproprio generalizzato e dall’altra chi, come nella mozione del Municipio VII e nella proposta del Coordinamento di tutti i Comitati di Quartiere, vuole una trasformazione urbanistica che tuteli il pregio dell’area senza compromettere lo sviluppo con i nuovi insediamenti di Cinecittà.”
Si, chiediamo una variante al PRG che destini l’area a verde pubblico e non agli elementi di una Centralità nata già vecchia, con il PRG del 2003 che doveva decidere il destino di un Asse Attrezzato, lo SDO, che non si sarebbe mai realizzato. Sicuramente lo saprà, ma ci teniamo a ricordarlo noi: il Progetto Direttore SDO, organo istituzionale del Comune di Roma che negli anni ’90 era tenuto a esprimersi sul destino dei 4 comprensori, diceva testualmente che il settore orientale della città consolidata, per la sua palese “fragilità”, richiede comunque interventi immediati di rigenerazione e riqualificazione che appaiono in alcuni casi addirittura prevalenti rispetto alla realizzazione di insediamenti direzionali.
Peccato che questo documento, che aveva anticipato di 20 anni le nostre posizioni dicendo che questa parte di Roma aveva bisogno non di unità direzionali ma di rigenerazione dell’esistente, espropri e tutela dell’ambiente, non sia mai stato recepito dal Comune, se non negli studi e negli elaborati di base.
Anni in cui il PRG pianificava per l’area una centralità di 400.000 mc mentre autorevoli urbanisti, come Vezio De Lucia, già denunciavano “[…] che, negli ultimi quarant’anni, la capitale ha sacrificato sotto il cemento e l’asfalto 30mila ettari di agro romano. Mille ettari all’anno. L’agro romano è la più importante riserva archeologica d’Italia, forse del mondo; è il nucleo originario dell’identità romana, eppure continua a essere considerato buono a tutti gli usi. E’ ormai ridotto a brandelli, sopraffatto da periferie in perenne espansione che hanno raggiunto la costa e i confini comunali”.
Era il 24 marzo del 2003, tra le righe di un’intervista pubblicata su il Manifesto: se pensate che ad oggi si sia registrata un’inversione di tendenza, vi ricordiamo l’ultimo rapporto ISPRA sul consumo di suola, anno 2019-2020: “Se il quadro della provincia è negativo, non è migliore quello del Comune di Roma. Nella Capitale infatti sono andati persi 123 ettari […].
Caro Assessore, se tutto questo non rappresenta per lei lo stesso quadro che noi abbiamo disegnato le chiediamo: cosa significata quindi transizione ecologica? Come si realizza il contrasto al cambiamento climatico nelle grandi città?
Quando dice tra le righe che noi siamo quella parte che chiede “un esproprio generalizzato dell’area per una variante del PRG” che potrebbe generare ricadute edificatorie peggiori altrove, facendoci passare per quelli che parlano di un Libro dei Sogni, noi le rispondiamo citando Pietro Sampieri, che rappresentava tutt’altra scuola rispetto al già citato Vezio De Lucia, che aveva preso parte alla progettazione dello SDO e che delle compensazioni nel 2003 diceva questo: “un’invenzione improvvida, non prevista dalla legge. Le aree destinate all’edificazione ma non inserite nei Piani di attuazione possono tranquillamente cambiare destinazione senza compensazioni o indennizzi”.
Perché quindi dobbiamo credere che la presenza di una previsione edificatoria nel PRG valga oltre qualsiasi diritto della cittadinanza, anche oltre quelli costituzionalmente garantiti sulla tutela dell’ambiente negli appena riformati articoli 9 e 41? Non è forse compito della politica intervenire attivamente sul PRG tenendo conto delle mutevoli esigenze di contesto, piuttosto che subirlo passivamente? Non dovrebbe forse la politica partecipare di più al libro dei sogni, invece di mettere davanti agli occhi dei cittadini l’elenco degli incubi, mascherati sotto forma di irrinunciabili compromessi?
Quando invece afferma che la Centralità prevede solo 180.000 mq edificabili su un’area di 60 ha, le ricordiamo ad esempio che la sede BNL a stazione Tiburtina consiste in 80.000 mq di edificato. Quindi sta parlando di due immobili da dodici piani per 5.000 metri di superficie fondiaria in un’area verde di grande pregio circondata dai quartieri con la più alta densità di Roma.
Infine, è chiaro ormai che l’iniziativa di rilancio degli Studios sul Pratone anticipi e funzioni da volano (anche retorico) per la realizzazione di questa Centralità, che eravamo riusciti ad evitare fino ad oggi: è chiaro perché ci aveva già anticipato che non poteva escluderlo e lo ha ribadito nuovamente nell’intervista, dicendo che “il progetto dovrebbe cogliere gli obiettivi del PRG, che sono quelli di una Centralità […] migliorare la dotazione di servizi e collegare Torre Spaccata a Cinecittà e Don Bosco”.
Senza neanche entrare nel dettaglio del concetto di servizi, di cui si parla sempre in modo tanto aleatorio ma talmente convincente che noi cittadini talvolta lo usiamo per primi senza averne piena consapevolezza, vogliamo avanzare quest’ultima considerazione: è vero, viviamo in un quadrante in cui spesso i quartieri sono dormitori, ricchi di case e poveri di “servizi”. Ma siamo sicuri che l’unica soluzione a questa mancanza, che i cittadini subiscono e della quale non sono in alcun modo responsabili, possa essere colmata solo mettendo cemento su una delle poche aree rimaste verdi, piuttosto che riqualificando una delle tante aree abbandonate presenti nei dintorni?
Roma contemporanea è un disastro proprio perché il pubblico ha sempre dato mano libera ai privati per le trasformazioni, senza visione e senza capacità di governo dei processi, con la scusa che occorrevano soldi per servizi e opere a scomputo che venivano poi realizzate in modo pessimo o non realizzate affatto. È quello che vogliamo continuare a fare? Perché non pensare invece a costruire una visione che fondi sull’ambiente e sul patrimonio culturale un nuovo modello di sviluppo? Roma è il luogo giusto in cui farlo se la politica tira fuori un po’ di coraggio, il luogo in cui il patrimonio materiale ben rappresentato dal Pratone può stringere una vera alleanza con il patrimonio immateriale rappresentato da Cinecittà, ma soltanto se si valorizzano a vicenda e non si mettono in competizione. Immaginate un Parco delle Ville romane che s’innesta nell’Appia antica e nello snodo con l’Appia antica si collega agli Studios di Cinecittà, che possono espandersi in una delle aree adiacenti già compromesse.
Questo è un sogno sì, e viva i cittadini che ancora sanno sognare